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TRIBUTI LOCALI Occupazione aree pubbliche

Cassazione civile , sez. I, 24 marzo 1999, n. 2782

REPUBBLICA ITALIANA
In nome del popolo italiano


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Alfredo ROCCHI - Presidente -
Dott. Rosario DE MUSIS - Consigliere -
Dott. Enrico ALTIERI - Consigliere -
Dott. Antonio GISOTTI - Consigliere -
Dott. Massimo BONOMO - Rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CODEMI SpA, in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA VIA MONTE DELLE GIOIE 24, presso
l'avvocato CLAUDIO SCHWARZEMBERG, che la rappresenta e difende
unitamente all'avvocato VICTOR UCKMAR, giusta delega in calce al
ricorso;
- ricorrente -
contro
COMUNE DI MILANO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente
domiciliato in ROMA LARGO T. SOLERA 7-10, presso l'avvocato FRANCESCO
PIROCCHI, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati
ANTONELLA FRASCHINI, FRANCO GARBIN, SURANO MARIA RITA, giusta delega
in calce al controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 178-97 della Corte d'Appello di MILANO,
depositata il 21-01-97;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
03-12-98 dal Consigliere Dott. Massimo BONOMO;
udito per il ricorrente, l'Avvocato Dominici, che ha chiesto
l'accoglimento del ricorso;
udito per il resistente, l'Avvocato Pirocchi, che ha chiesto il
rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
Antonio MARTONE che ha concluso per il rigetto del ricorso.


Fatto

Con atto di citazione notificato il 26 marzo 1990 il Comune di Milano conveniva dinanzi al Tribunale di quella stessa città la s.p.a.
CODEMI esponendo: a) che aveva concesso a quest'ultima di occupare una semicarreggiata di un cavalcavia sovrastante il parco binari della stazione FF.SS. Porta Garibaldi con corrispettivo obbligo di corrispondere la relativa tassa per occupazione di spazi ed aree pubbliche (TOSAP), in rapporto alla quale aveva emesso avvisi accertamento per le annualità 1985, 1986 e 1987, comportanti un versamento di complessive lire 483.054.208; b) che contro gli avvisi la società aveva proposto ricorso prima all'Intendenza di finanza e poi al Ministro delle finanze, il quale aveva annullato gli avvisi, disconoscendo l'esercizio di una potestà impositiva sul manufatto costruito in base ad apposita convenzione con l'Azienda autonoma interessata, su di una sua area. Il Comune contestava l'affermazione contenuta nel decreto ministeriale e chiedeva che fosse accertato l'obbligo della convenuta e che questa fosse condannata al pagamento della somma pretesa.
Con sentenza depositata l'8 novembre 1993 il Tribunale di Milano, dichiarava l'inammissibilità della domanda ritenendo non consentito ad alcun organo sotto ordinato della P.A. di adire l'autorità giudiziaria ordinaria per ottenere una pronuncia diversa da quella dell'organo rappresentante l'espressione massima della stessa P.A., e pertanto inimpugnabile quanto stabilito in sede di ricorso gerarchico.
Con sentenza del 17 dicembre 1996 - 21 gennaio 1997 la Corte di appello di Milano dichiarava la società CODEMI obbligata a corrispondere la tassa e la condannava al relativo pagamento, osservando: a) che in base alla disciplina contenuta nell'art. 20 del D.P.R. n. 638 del 1972 in materia di ricorsi amministrativi e di azione giudiziaria, non era individuabile alcuna ragione giuridica per postulare una sorta di unilaterale diritto del contribuente di adire il giudice ordinario, ad esaurimento dei rimedi amministrativi, denegando un eguale diritto all'ente impositore; b) che i rimedi amministrativi previsti non potevano essere confusi con l'istituto del ricorso gerarchico ad organi sovraordinati, poiché l'intervento degli organi dello Stato avviene nella specie in posizione elettiva di terzietà, attuando una deputata funzione di controllo dell'esercizio della potestà tributaria da parte degli enti territoriali, ma senza pregiudizio dell'autonomia ad essi spettante, da farsi valere all'occorrenza parimenti in sede giurisdizionale; c) che, nel merito, la società CODEMI si era espressamente impegnata, nel formulare la propria domanda di concessione ad occupare per cinque anni una parte della carreggiata del cavalcavia, al versamento, su semplice richiesta, del corrispettivo dovuto secondo le tariffe in vigore; d) che, secondo l'impugnato decreto del Ministro per le finanze, l'occupazione oggetto dell'imposizione era stata effettuata su di un'opera edificata dal Comune su area appartenente al demanio ferroviario, in forza di apposita convenzione che non consentiva al Comune, oltre al mantenimento del manufatto, l'esercizio di altri diritti, ivi compresa la potestà impositiva sullo stesso; e) che dalla convenzione si ricavava invece spettanza in proprietà all'ente locale costruttore dell'opera di sovrappasso nel suo complesso, anche se senza estensione alle superfici di proprietà della concedente, in particolare quelle occupate con le pilastrate; f) che restava esclusa la configurabilità di un'accessione della struttura attraversante in sopraelevazione il parco dei binari a vantaggio dell'area delle Ferrovie; g) che la tassa in questione era stata legittimamente applicata dal comune a norma dell'art. 192 del R.D. n. 1175 del 1931, con riguardo ad un'area suscettibile di essere qualificata come di sua pertinenza e facente parte della rete viaria cittadina; h) che la tassa era dovuta non solo in caso di sottrazione di suolo pubblico all'uso normale e collettivo, ma anche in ipotesi di utilizzazioni particolari di esso ed indipendentemente dalla natura del beneficiario e dalle finalità eventualmente generali perseguite, salvo la ricorrenza delle specifiche esenzioni contemplate dall'art. 200 del citato decreto.
Avverso la sentenza della Corte d'appello la società CODEMI ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi, illustrato con memoria.
Il Comune di Milano ha resistito con controricorso, depositando una memoria illustrativa.

Diritto

1.1. Con il primo mezzo d'impugnazione la ricorrente lamenta violazione e-o falsa applicazione dell'art. 20 del D.P.R. n. 638 del 1972 nonché insufficiente motivazione in merito all'inammissibilità dell'azione giurisdizionale esperita dal Comune di Milano.
I ricorsi previsti dall'art. 20 cit. devono qualificarsi ricorsi gerarchici impropri, con la conseguenza che non rileva la mancanza di gerarchia tra il Comune ed il Ministro delle finanze.
La facoltà attribuita al Comune di ricorrere in seconda istanza al Ministro delle finanze contro i provvedimenti emessi dall'Intendente di finanza, se si pone come eccezione al sistema secondo cui il ricorso gerarchico risulta esperibile solamente nei confronti dei provvedimenti di primo grado e consente di rivolgersi soltanto all'autorità amministrativa immediatamente superiore (art. 1, comma 1, del D.Lgs (NDR: così nel testo). 24 novembre 1971 n. 1199), si giustifica però con l'esigenza di garantire con il doppio grado la possibilità di un riesame dei provvedimenti emessi in materia tributaria, la quale è caratterizzata da una notevole complessità tecnica. Per ragioni di equità il riesame può essere chiesto sia dal contribuente che dall'ente impositore, ma ciò non comporta, contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, che l'amministrazione possa impugnare il provvedimento amministrativo ad essa sfavorevole emesso dal Ministro per le finanze. Tale provvedimento perfeziona la volontà dell'ente impositore, eventualmente assorbendo le difformi statuizioni del Comune o dell'Intendente, e si pone come compiuta espressione dello stesso volere di questi ultimi.
Tale ricostruzione non restringe la tutela dell'Amministrazione comunale, considerato il duplice grado di esame "interno" da parte di organi comunque appartenenti alla pubblica amministrazione.
Sarebbe invece asistematico ritenere che solo nelle materie in cui è previsto un filtro amministrativo sarebbe consentito all'ente impositore assumere la veste di attore, in quanto ciò non si concilierebbe con la struttura impugnatoria assunta dal processo tributario. 1.2. Il motivo non è fondato.
Come già affermato da questa Corte con riferimento all'imposta comunale sulla pubblicità (Cass. 25 marzo 1995 n. 3577), nell'ambito delle imposte e tasse di competenza comunale i ricorsi amministrativi sono decisi da organi dello Stato (Intendenza di Finanza e Ministero delle Finanze); pertanto la pronuncia favorevole al contribuente non comporta una rinuncia alla pretesa tributaria da parte dell'ente impositore, ma un intervento di controllo da parte dello Stato, che non fa venir meno la autonoma pretesa dell'ente locale a disporre delle proprie entrate. Perciò il Comune è legittimato a contrastare in sede giudiziaria la pronuncia degli organi statali, a tutela della propria autonomia anche patrimoniale (art. 126 Cost.).
D'altra parte, che il Comune non sia vincolato dalle determinazioni adottate in sede di ricorsi amministrativi è confermato dalla possibilità, espressamente prevista dall'art. 20, comma primo, del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 638, di ricorrere al Ministro delle finanze contro la decisione dell'Intendente di finanza.
Correttamente, quindi, la sentenza impugnata ha ritenuto ammissibile l'azione del Comune. 2.1. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e-o falsa applicazione dell'art. 192 del R.D. 14 settembre 1931 n. 1175 in merito alla sussistenza della potestà impositiva del Comune di Milano sulle aree occupate dall'esponente ai fini della TOSAP.
Erroneamente la sentenza impugnata aveva ritenuto che, ai fini dell'applicazione del tributo, non assumono rilevanza nè la natura del beneficiario dell'occupazione del suolo pubblico nè le finalità eventualmente generali perseguite, salvo la ricorrenza delle specifiche esenzioni contemplate all'art. 200 del R.D. 14 settembre 1931 n. 1175.
Al contrario, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, il presupposto applicativo della TOSAP non risulta integrato nei casi in cui l'occupazione di spazi ed aree pubbliche avvenga da parte di un'impresa edile appaltatrice di lavori per conto o comunque nell'interesse del Comune e nei casi in cui l'occupazione del suolo pubblico sia strumentale rispetto ai lavori da eseguire. Il principio resta valido anche in difetto di un'espressa previsione esonerativa da parte dell'art. 200 del T.U sulla finanza locale. Esso è stato ripetutamente accolto dall'Amministrazione delle finanze e risulta applicabile nel caso in esame, in cui il cantiere apprestato sulla carreggiata del cavalcavia rispondeva alle specifiche esigenze dei lavori relativi alla realizzazione dei corridoi pedonali sottopassanti il fascio dei binari della stazione ferroviaria e destinati a collegare quest'ultima con le stazioni della linea metropolitana comunale, la cui esecuzione rispondeva ad una specifica obbligazione assunta dal Comune di Milano all'interno di un'apposita convenzione stipulata con la Regione Lombardia, l'Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato e le Ferrovie Nord Milano s.p.a. ovvero un ente societario controllato per oltre il 99 per cento dall'Azienda Municipale Servizi Ambientali.
La valutazione di tali rilievi, che risulta omessa nei precedenti gradi del giudizio, afferisce peraltro a profili di fatto della presente controversia e, di conseguenza, nell'eventualità della cassazione sul punto della sentenza impugnata, costituirà attribuzione del giudice di rinvio. 2.2. Nemmeno questo motivo è fondato.
L'orientamento giurisprudenziale richiamato dalla ricorrente non è applicabile in questa sede non risultando la sussistenza dei necessari presupposti di fatto.
È vero che questa Corte ha affermato che la tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche trova la sua "ratio" nell'utilizzazione che il singolo fa, nel proprio esclusivo interesse, di un suolo destinato all'uso della generalità e che, pertanto, deve escludersi l'applicabilità di detto tributo nel caso in cui l'occupante sia una impresa appaltatrice di lavori da eseguirsi su suolo comunale per conto del Comune, sempre che l'occupazione sia limitata al tempo ed allo spazio strettamente necessari per il compimento dei lavori, atteso che in tale ipotesi l'occupazione del suolo da parte del privato consegue all'obbligo del comune di consegnare all'appaltatore le aree occorrenti per l'esecuzione dell'opera appaltata (Cass. 9 novembre 1995 n. 11665, 16 dicembre 1993 n. 12432).
Sennonché dalla sentenza impugnata risulta che i lavori che dettero origine all'occupazione furono svolti dalla società CODEMI per conto dell'Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato, e non per il Comune di Milano, e che la stessa società aveva direttamente domandato al Comune la concessione ad occupare per cinque anni un un'area di pertinenza del comune, facente parte della rete viaria cittadina.
La circostanza, posta in luce dalla ricorrente, che l'esecuzione dell'opera rispondesse ad una specifica obbligazione assunta dal Comune di Milano, costituisce un elemento di fatto del tutto nuovo, non preso in considerazione nella fase di merito del presente procedimento (come riconosce la stessa società CODEMI nella parte finale dell'esposizione del motivo di ricorso). Ne consegue che di tale elemento non può tenersi conto in questa sede e, quindi, che l'occupazione in questione non può considerarsi equiparabile a quella effettuata da una impresa appaltatrice di lavori da eseguirsi su suolo comunale per conto del Comune. 3. Il ricorso va, pertanto, rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come nel dispositivo, vanno poste a carico della parte ricorrente in considerazione della soccombenza.

P.Q.M

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in lire 228.130, oltre a lire 10.000.000 per onorari.
Così deciso in Roma il 3 dicembre 1998.

LS 14 settembre 1931 n. 1175 art. 192 R.D.
LS 18 aprile 1962 n. 208 art. 1 L.



>> Note: <<

- Sulla tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche, Cass. 9 novembre 1995 n. 11665, Riv. giur. edilizia, 1996, I, 2, 224.