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PROCEDIMENTO CIVILE Autorizzazione ad agire o a contraddire comuni e province

Cassazione civile , sez. un., 27 giugno 2005, n. 13710

REPUBBLICA ITALIANA
In nome del popolo italiano


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
composta dai Sigg.ri magistrati
Vincenzo CARBONE - primo presidente aggiunto
Rafaele CORONA - presidente di sezione
Vittorio DUVA - presidente di sezione
Enrico PAPA - consigliere
Roberto PREDEN - consigliere
Michele VARRONE - consigliere
Maria Gabriella LUCCIOLI - consigliere
Giulio GRAZIADEI - rel. consigliere
Mario CICALA - consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso principale proposto dal
Comune di Benevento, in persona del dirigente del settore legale avv.
L.G., elettivamente domiciliato in Roma, piazza C. Nerazzini n. 5,
presso l'avv. Michele Pazienza, difeso dall'avv. Massimo Pagano per
procura a margine del ricorso;
ricorrente
contro
G.P., C.C., P.C. e G.C., elettivamente domiciliati in Roma, viale
Giulio Cesare n. 71, presso l'avv. Umberto Del Basso De Caro, che li
difende per procura in calce al controricorso e ricorso incidentale;
resistenti
e contro
M.C.;
intimata
ed inoltre sul ricorso incidentale proposto da
G.P., C.C., P.C. e G.C., come sopra domiciliati e difesi;
ricorrenti
contro
Comune di Benevento;
intimato
per la cassazione della sentenza del Tribunale superiore delle acque
pubbliche n. 11 dell'11 ottobre 1999-14 febbraio 2000;
sentiti
il cons. Graziadei, che ha svolto la relazione della causa;
il Pubblico ministero, in persona dell'avvocato generale Domenico
Iannelli, il quale ha concluso per l'inammissibilità di entrambi i
ricorsi.


Fatto

D.C. con citazione del 14 marzo 1990 davanti alla Corte d'appello di Napoli, e poi (a seguito di declaratoria d'incompetenza) con atto di riassunzione del 2 marzo 1994 davanti al Tribunale regionale delle acque pubbliche della Campania, ha dedotto che un proprio fondo edificabile di circa mq. 2800 era stato occupato ed irreversibilmente acquisito dal Comune di Benevento per opere di ampliamento dell'acquedotto municipale, senza l'adozione di provvedimento espropriativo, ed ha chiesto la condanna del Comune al pagamento dell'indennità ed al risarcimento del danno rispettivamente dovuti per detta occupazione e detta appropriazione.
Il Tribunale regionale ha riconosciuto all'istante la somma di lire 53.098.000, a titolo d'indennità per il periodo d'occupazione legittima dal 17 gennaio 1989 al 14 dicembre 1993, e la somma di lire 263.606.000, quale danno per la perdita della proprietà del suolo, oltre agli interessi legali.
Il Tribunale superiore delle acque pubbliche, pronunciando con sentenza depositata il 14 febbraio 2000 su appello principale del Comune ed appello incidentale degli eredi di D.C., G.P. P.C., C.C. G.C. e M.C., ha determinato i debiti del Comune in lire 68.271.210 per indennità di occupazione legittima, oltre agli interessi legali al tasso del 5% dal 17 gennaio 1989 al 31 dicembre 1990 e del 10% per il periodo successivo fino al 14 dicembre 1993, ed in lire 134.244.000 per l'acquisizione della proprietà del bene, oltre agli interessi legali al tasso del 5% dal 14 dicembre 1988 al 31 dicembre 1990 e del 10% per il periodo successivo fino al 14 dicembre 1993; ha inoltre accordato su dette somme, fino alla data del pagamento, la rivalutazione monetaria e gli interessi legali del 10% dal 14 dicembre 1993 al 31 dicembre 1996 e del 5% a partire dal 1° gennaio 1997.
Il Tribunale superiore ha fra l'altro osservato:
-che l'indennità per il periodo di occupazione legittima era da computarsi nella misura del 5% del valore di mercato dell'immobile;
-che l'importo dovuto per l'occupazione appropriativa era da liquidarsi in base alle disposizioni di cui al settimo comma bis dell'art. 5 bis del d.l. 11 luglio 1992 n. 333 (convertito con modificazioni in legge 8 agosto 1992 n. 359), introdotto dall'art. 3 sessantacinquesimo comma della legge 23 dicembre 1996 n. 662;
-che la tesi degli eredi C., sull'inapplicabilità di tale norma in mancanza di valida dichiarazione di pubblica utilità delle opere (per l'omessa fissazione dei termini di cui all'art. 13 della legge 25 giugno 1865 n. 2359), non era esaminabile, in quanto non avanzata con l'appello incidentale.
Il Comune di Benevento, in persona del Dirigente del settore legale, con atto notificato il 19 marzo 2001 a tutti i menzionati eredi di D.C., ha chiesto a queste Sezioni unite la cassazione della sentenza del Tribunale superiore, formulando due censure.
G.P. C.C., P.C. e G.C. hanno replicato con controricorso, contestando pregiudizialmente la tempestività del ricorso del Comune, in ragione della sua notificazione dopo il decorso del termine di quarantacinque giorni di cui agli artt. 183 e 202 del r.d. 11 dicembre 1933 n. 1775, ed hanno contestualmente proposto ricorso incidentale, con due censure.
Con ordinanza resa all'udienza del 19 febbraio 2004 è stata disposta la rinnovazione della notificazione del ricorso incidentale, effettuata entro il termine assegnato.
Il Comune ha depositato memoria, unitamente ad "atto di costituzione e ratifica" in persona del Sindaco dott. S.N.D. (con rinnovazione della procura all'avv. Massimo Pagano).
Hanno presentato memoria anche i resistenti e ricorrenti incidentali, deducendo che il ricorso del Comune è inammissibile, in quanto proposto da soggetto privo del potere rappresentativo, e che il relativo vizio non è suscettibile di essere sanato a posteriori.

Diritto

I ricorsi devono essere riuniti, ai sensi dell'art. 335 cod. proc. civ..
Il ricorso principale è ammissibile.
La legittimazione del Dirigente del servizio legale a stare in giudizio in rappresentanza del Comune di Benevento, conferendo procura al difensore, secondo le previsioni dell'art. 37 dello statuto del Comune medesimo ed in base a determinazione dirigenziale adottata il 13 marzo 2001, discende dal principio di seguito riportato, che questo stesso Collegio, investito della questione ai sensi dell'art. 374 secondo comma cod. proc. civ., ha enunciato decidendo in altre controversie fissate per l'odierna udienza.
Nella disciplina degli artt. 6, 50 e 107 dell'ordinamento degli enti locali di cui al d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267, interpretati alla luce della successiva evoluzione normativa, ed in particolare della riforma dell'art. 114 secondo comma della Costituzione (legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3) e dell'art. 4 della legge 5 giugno 2003 n. 131 di attuazione di tale riforma (da ultimo, v. anche, in tema di rito tributario, l'art. 3 bis del d.l. 31 marzo 2005 n. 44, inserito dalla legge di conversione 31 maggio 2005 n. 88, il quale ha modificato l'art. 11 del d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546), la rappresentanza processuale del comune spetta in via generale al sindaco, senza necessità di preventiva autorizzazione della giunta, ma lo statuto, quale atto normativo (rientrante nella diretta conoscenza del giudice), ovvero anche i regolamenti municipali, nei limiti in cui ad essi espressamente rinvii lo stesso statuto, possono conferire la legittimazione a stare in giudizio in nome e per conto del comune medesimo ai dirigenti, nell'ambito dei rispettivi settori di competenza, od anche, con riguardo all'intero contenzioso, al dirigente dell'ufficio legale, e possano altresì prevedere detta autorizzazione (della giunta o del competente dirigente), altrimenti non necessaria.
Quanto poi alla tempestività dell'impugnazione del Comune, va osservato, a confutazione della tesi dei resistenti, che il termine breve di quarantacinque giorni, stabilito dall'art. 202 quarto comma del r.d. 11 dicembre 1933 n. 1775 (mediante riduzione alla metà del termine dell'art. 518 del codice di rito all epoca vigente), decorre dalla notificazione del dispositivo eseguita a norma dell'art. 183 dopo la registrazione della sentenza, non dalla mera comunicazione del dispositivo stesso ai fini della pubblicazione, e che, pertanto, in carenza (come nella specie) di tale notificazione, il ricorso è soggetto al termine annuale di cui all'art. 327 cod. proc. civ.(v. Cass. s.u. 4 aprile 2000 n. 95, 9 luglio 2001 n. 9321, 7 agosto 2001 n. 10892).
Il secondo motivo del ricorso incidentale, da esaminarsi con precedenza per la natura della relativa problematica, rinnova la tesi del difetto di valida instaurazione del procedimento espropriativo, in ragione della mancata fissazione dei termini per l'inizio e la fine dei lavori, con i corollari della non configurabilità di un periodo di occupazione legittima, e del diritto al risarcimento del danno per occupazione usurpativa, in misura piena, senza le limitazioni dello ius susperveniens di cui alla citata legge n. 662 del 1996.
Il motivo è infondato.
Il Tribunale superiore, come si è detto, ha negato l'esaminabilità dell'indicata questione, in quanto tardivamente posta dagli eredi C. solo nel corso del giudizio di secondo grado, dopo la proposizione dell'appello incidentale.
I ricorrenti incidentali contrastano tale ratio decidendi facendo leva sulla posteriorità dell'entrata in vigore della legge n. 662 del 1996, rispetto all'apertura del giudizio di gravame, ed inoltre assumendo che la questione già apparteneva al giudizio d'appello in dipendenza delle tesi difensive formulate dal Comune.
Le critiche non sono pertinenti.
L'una trascura che la citata legge del 1996 ha introdotto nuove regole per la quantificazione del danno da occupazione appropriativa, senza incidere sui criteri distintivi fra la stessa e l'occupazione usurpativa, e, quindi, ancorché sopraggiunta in pendenza del giudizio di gravame, non poteva giustificare l'estensione del dibattito alla questione della natura dell'occupazione medesima, non sollevata con i motivi d'appello.
L'altra censura non tiene conto che il Comune, dinanzi al Tribunale superiore, non ha messo in dubbio l'inserirsi della vicenda nell'ambito di una procedura espropriativa assistita da valida dichiarazione di pubblica utilità, in quanto si è limitato a sostenere l'insussistenza di occupazione legittima sotto il diverso profilo del determinarsi di traslazione della proprietà in un momento anteriore.
Il primo motivo del ricorso principale ed il primo motivo del ricorso incidentale attengono ai criteri di liquidazione dell'indennità di occupazione legittima.
Il Comune addebita al Tribunale superiore di aver calcolato il 5% annuo prendendo a base il valore di mercato del fondo, anziché la somma che sarebbe stata dovuta a titolo d'indennità d'espropriazione a norma del predetto art. 5 bis del d.l. n. 333 del 1992.
I ricorrenti incidentali a loro volta deducono che, se si dovesse fare riferimento all'indennità virtuale di espropriazione per quantificare l'indennità di occupazione con il metodo degli interessi legali, si approderebbe ad un risultato non distante da quello della sentenza impugnata (lire 55.640.070, anziché lire 68.271.210), dovendosi considerare che il tasso degli interessi legali, nel periodo dal 1991 al 1993, è stato del 10%, non del 5%.
La deduzione del Comune è fondata, con il conseguenziale assorbimento della problematica sollevata dai ricorrenti incidentali (la quale sarà influente in sede di rideterminazione del debito in discorso).
L'occupazione temporanea e d'urgenza integra una fase della procedura ablativa, non autonoma, ma funzionale rispetto all'obiettivo di assicurare una più celere esecuzione dell'opera pubblica programmata.
L'unitarietà del procedimento espropriativo comporta la necessaria unicità del valore del bene rilevante per il ristoro di tutte le posizioni del privato.
Ne deriva, anche quando l'occupazione legittima non sia seguita da espropriazione, che l'indennità per l'occupazione medesima deve essere liquidata in una misura percentuale (eventualmente pari agli interessi legali, se il relativo parametro sia reputato congruo) dell'indennità di espropriazione, e che, pertanto, nell'ambito di procedimento espropriativo di area edificabile, regolato dalle disposizioni del predetto art. 5 bis, deve essere calcolata in misura percentuale non del valore venale, ma della soma prevista da tale norma a titolo d'indennità espropriativa (v. Cass. s.u. 20 gennaio 1998 n. 493, 2 marzo 2004 n. 4241, 2 luglio 2004 n. 12139).
Con il secondo motivo del ricorso principale, ancora riguardante l'indennità di occupazione temporanea, si censura il Tribunale superiore per averne disposto la rivalutazione secondo gli indici di deprezzamento della moneta, senza considerare che il fenomeno inflattivo può incidere su un debito di valuta solo quale ragione di maggior danno, ai sensi dell'art. 1224 secondo comma cod.civ., nei limiti in cui il creditore alleghi e provi il suo verificarsi.
Il motivo è fondato.
Gli eredi C., con riguardo all'indennità di occupazione, in coerenza con la sua natura di credito di valuta, hanno reclamato, oltre agli interessi legali, il maggiore danno ex art. 1224 secondo comma cod. civ. (rinnovando la richiesta in sede di precisazione delle conclusioni di secondo grado).
Il Tribunale superiore, dopo aver quantificato detta indennità con riferimento alla scadenza del periodo di occupazione temporanea, ha disposto l'aggiornamento della relativa somma, fino alla data del pagamento, in misura pari agli indici inflattivi (con l'aggiunta degli interessi legali sempre fino a tale data), senza offrire alcuna motivazione in ordine agli elementi (sia pure presuntivi) ritenuti idonei ad evidenziare il verificarsi di detto ulteriore pregiudizio e la sua entità.
La radicale assenza di motivazione sul punto è riconducibile nella violazione di legge, e, quindi, è sindacabile in questa sede (artt. 200 del r.d. n. 1775 del 1933 e 111 della Costituzione).
In conclusione, con l'accoglimento del ricorso principale, l'assorbimento del primo motivo ed il rigetto del secondo motivo del ricorso incidentale, si deve in parte cassare la sentenza impugnata, nonché disporre la prosecuzione della causa in sede di rinvio, dinanzi al Tribunale superiore delle acque pubbliche, per un riesame che si attenga ai principi sopra affermati.
Al Giudice di rinvio si affida anche la pronuncia sulle spese di questa fase processuale.

P.Q.M

La Corte, a sezioni unite, riunisce i ricorsi, accoglie il ricorso principale, dichiara assorbito il primo motivo e rigetta il secondo motivo del ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, e rinvia la causa al Tribunale superiore delle acque pubbliche, anche per le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni unite civili della Corte di cassazione, il 5 maggio 2005.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 27 GIU. 2005

Costituzione della Repubblica art. 114
Codice Procedura Civile art. 75
LS 18 agosto 2000 n. 267 art. 6 D.LG.
LS 18 agosto 2000 n. 267 art. 50 D.LG.
LS 18 agosto 2000 n. 267 art. 107 D.LG.
LS 5 giugno 2003 n. 131 art. 4 L.



>> Note: <<

- La rappresentanza in giudizio del Comune spetta in via generale al sindaco senza necessità di preventiva autorizzazione della giunta, ma lo statuto del Comune (atto a contenuto normativo, rientrante nella diretta conoscenza del giudice) o anche i regolamenti municipali, nei limiti in cui ad essi espressamente rinvii lo stesso statuto, possono affidarla ai dirigenti, nell'ambito dei rispettivi settori di competenza, od anche, con riguardo all'intero contenzioso, al dirigente dell'ufficio legale, e possono altresì prevedere detta autorizzazione (della giunta o del competente dirigente), altrimenti non necessaria.