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ICI 2007

DOMANDA:
71. Si richiede il Suo parere in merito al riconoscimento della ruralità ai fabbricati strumentali ai sensi dell’art. 9 comma 3 bis del D.L. 557/1993. La norma citata prevede il riconoscimento della ruralità ai fabbricati
strumentali purché questi siano UTILIZZATI per lo svolgimento dell’attività agricola.
 L’ufficio nel proprio regolamento ha così disciplinato il riconoscimento della ruralità:
Fabbricati rurali esenti dall’imposta.  Con il presente articolo si specificano i termini applicativi della normativa vigente in tema di riconoscimento della ruralità degli immobili ai fini I.C.I. secondo l’art. 9, commi 3 e 3 bis, 4, 5 e 6 Legge 133/94, come modificati da DPR 139/98.  Nell’applicazione di tale norma si deve valutare, anche retroattivamente, il trattamento più favorevole al contribuente per tutte le annualità dell’IC.I., purché non esistano provvedimenti definitivi. · In ogni caso, per quanto riguarda gli immobili iscritti al catasto fabbricati (esclusa la categoria D10), gli stessi devono intendersi soggetti. Dall’imposta comunale sugli immobili, fatta salva la possibilità, per il soggetto passivo di imposta, di richiedere il riconoscimento delle condizioni di ruralità presentando, per ogni annualità, specifica istanza all’Ufficio Tributi del Comune, dimostrando che l’immobile rispetta i requisiti di cui al citato Art. 9 della Legge 133/94.  Nel valutare la ruralità dei fabbricati strumentali l’ufficio si pone la questione di come poter accettare con effetto retroattivo una dichiarazione del contribuente in cui si richiede il riconoscimento del requisito in questione anche per il passato. L’ufficio infatti non può verificare che nel passato l’immobile sia effettivamente stato adibito all’attività agricola: mentre lo si può presumere per un D01, risulta molto dubbio presumerlo per un C02 o un C06. Come si deve pertanto comportare l’ufficio davanti ad un contribuente che, per ottenere l’annullamento di un avviso di accertamento emesso dall’ente su un fabbricato C06 presenta una nota in cui dichiara che detto immobile è
sempre stato destinato all’attività agricola? Si vorrebbe inserire nel regolamento comunale la seguente previsione:
“Al fine del riconoscimento della ruralità dei fabbricati strumentali, il contribuente dovrà presentare apposita autocertificazione, ai sensi del DPR 445/2000, attestante la destinazione del fabbricato all’attività agricola di
cui all’art. 32 TUIR, entro i termini previsti per la dichiarazione di cui all’art. 10 c. 4 D. Lgs. 504/1992. Ci si chiede in particolare se una previsione del genere possa essere legittima, o se invece in questo modo il contribuente venga gravato di un onere che la legge non prevede.

Secondo noi un’autocertificazione non potrebbe essere accettata con valore retroattivo, perché in questo modo verrebbe vanificata la facoltà dell’Ente di procedere alla verifica di quanto dichiarato dal contribuente.
In sostanza il contribuente sarebbe libero di autocertificare quello che gli pare, visto che non sarebbe possibile procedere alla verifica della veridicità delle affermazioni, per lo meno per il passato.
RISPOSTA:
In sintesi, debbo evidenziare che le disposizioni regolamentari descritte risultano illegittime (vizio di incompetenza), essendo compito della legge statale definire, come ha fatto, i requisiti di ruralità degli
edifici. Tale disposizione regolamentare risulta ulteriormente illegittima nella parte in cui, nella sostanza, esonerare il soggetto passivo a provare la sussistenza dei requisiti di legge. In sostanza, l'agevolazione in argomento è condizionata al fatto che il soggetto passivo dimostri, a prescindere dello accatastamento o meno del
fabbricato al catasto urbano, così come chiarito della circolare n. 50/E del 2000, la sussistenza contestuale della condizione soggettiva, coincidente con l'iscrizione del soggetto nel registro delle imprese tenuto presso la Camera
di Commercio, e quella oggettiva connessa al rispetto delle condizioni poste dallo articolo 32 del DPR 917/86 che in sintesi sono comprovate automaticamente per l'attività di coltivazione, con il non superamento dei
limiti ministeriali per l'attività di allevamento e con l'utilizzazione prevalente (almeno il 50 per cento) dei prodotti commercializzati o trasformati.

 

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